Mononucleosi: come arginare i virus

Come sostenere l’organismo nella lotta ai virus con vitamine, minerali e flavonoidi

La mononucleosi è causata dal virus di Epstein-Barr appartenente alla famiglia degli herpes virus. Mal di gola, febbre e linfonodi ingrossati sono alcuni dei sintomi tipici di questa malattia. Scoprite come favorire il processo di guarigione e rinforzare il sistema immunitario con vitamine, minerali e flavonoidi.

Test dell’EBV in laboratorio
Una volta contratto, il virus di Epstein-Barr rimane nell’organismo per tutta la vita, e chi ne viene colpito dopo la malattia diventa normalmente immune. Il virus può però essere attivato in forma recidivante e risultare contagioso. Immagine: jarun011/iStock/Getty Images Plus

Cause e sintomi

Che cos’è la mononucleosi?

La mononucleosi è un’infezione causata dal virus di Epstein-Barr, un virus contagioso appartenente alla famiglia degli herpes virus che penetra nell’organismo mediante goccioline infette, ad esempio attraverso tosse, starnuti o baci. Per questo la mononucleosi è nota anche come “malattia del bacio”. Nella maggior parte dei casi l’infezione viene contratta nell’infanzia.

Dopo la guarigione, le persone colpite ne sono quasi sempre immuni. Il virus di Epstein-Barr rimane per tutta la vita nell’organismo, al pari di altre malattie provocate da herpes virus, come l’herpes zoster (fuoco di Sant’Antonio) o l’herpes labiale. Si attiva in forma recidivante, viene escreto attraverso naso e faringe e può diventare contagioso per altre persone.

Sintomi della mononucleosi

Donna con febbre a letto che guarda il termometro
La mononucleosi è una malattia virale che provoca febbre, ingrossamento dei linfonodi e infiammazioni alla gola. In genere ha un decorso di due o tre settimane e per questo i micronutrienti sono particolarmente importanti per supportare le difese immunitarie contro il virus. Immagine: demaerre/iStock/Getty Images Plus

Il virus si manifesta con sintomi tipici come febbre, linfonodi ingrossati e infiammazioni della faringe, eventualmente accompagnati da tosse, mal di gola, gonfiore agli occhi, palato dolorante, mal di testa, stanchezza, tonsille infiammate, difficoltà di deglutizione, insufficienza respiratoria o eruzione cutanea.

Negli adulti i sintomi permangono da due a tre settimane, mentre la forma che colpisce i bambini è spesso più lieve, di durata inferiore o totalmente asintomatica e priva di febbre. Nel decorso della malattia la febbre può attenuarsi per ricomparire in forma di attacchi.

Conseguenze della mononucleosi

Solo un numero esiguo dei soggetti colpiti sviluppa gravi complicazioni, come miocardite o meningite, anemia o lesioni alla milza. In casi rari la mononucleosi diventa cronica, con effetti collaterali come stanchezza, mancanza di energia e gonfiore dei linfonodi, che si protraggono per mesi.

La mononucleosi può avere conseguenze gravi, soprattutto nei soggetti con immunodeficienza o con un sistema immunitario indebolito, ad esempio a causa di un’infezione da HIV. Nel corso degli anni il virus può inoltre provocare malattie tumorali (sangue, linfa, nervi), e anche la sclerosi multipla potrebbe esserne una patologia conseguente.

Classificazione

Obiettivi del trattamento

Qual è il trattamento classico della mononucleosi?

Non esistono farmaci specifici contro la mononucleosi. È il sistema immunitario stesso ad arginare la malattia e le terapie mirano in primo luogo ad alleviare i disturbi. Contro febbre e dolori vengono impiegati, ad esempio, farmaci antinfiammatori non steroidei come l’ibuprofene (Aktren®, Brufen®). Nei casi gravi con forti gonfiori alla gola che provocano difficoltà respiratorie, si ricorre anche a glucocorticoidi come il prednisolone (Decortin®, Rectodelt®), che riduce il gonfiore.

Nel dieci percento dei casi circa la mononucleosi dà origine a una superinfezione batterica da streptococchi, trattata con antibiotici come l’eritromicina (Eritrocina®).

Gli obiettivi della medicina dei micronutrienti

La medicina dei micronutrienti si prefigge l’obiettivo di rinforzare il sistema immunitario, mettendolo in condizione di contrastare efficacemente il virus. Vitamine e minerali contribuiscono a ridurre i disturbi, mentre altre sostanze inibiscono la riproduzione dei virus e possono impedire la loro diffusione nell’organismo.

Si consigliano i seguenti micronutrienti:

  • Lo zinco inibisce la riproduzione dei virus e rafforza il sistema immunitario.
  • La vitamina C potrebbe accorciare la durata della malattia.
  • La vitamina D è importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario.
  • Il beta-glucano da lievito allena il sistema immunitario.
  • L’epigallocatechina gallato (EGCG) lega i virus e li rende inattivi.
  • La lisina sottrae al virus la sostanza necessaria alla sua crescita.
Classificazione

Trattamento con i micronutrienti

Lo zinco argina gli herpes virus

Meccanismo d’azione dello zinco in caso di mononucleosi

Lo zinco è importante per rafforzare il sistema di difesa dell’organismo, poiché garantisce la divisione e la riproduzione delle cellule immunitarie, oltre a contribuire direttamente alla disattivazione del virus. Negli esperimenti di laboratorio lo zinco è riuscito a evitare la riproduzione di determinati herpes virus, di cui fa parte anche il virus di Epstein-Barr che causa la mononucleosi.

Uno studio preliminare indica la capacità dello zinco di ridurre il numero degli episodi di herpes e il tempo di guarigione. La sperimentazione ha preso in esame soggetti che in passato erano stati spesso colpiti da herpes labiale. In un ulteriore studio preliminare con partecipanti affetti da herpes genitale, un preparato a base di zinco ha più che dimezzato il numero dei giorni con presenza della malattia. Oltre allo zinco, il preparato conteneva magnesio, vitamina B1 e vitamina B2. Secondo un’altra ricerca preliminare, anche la combinazione di zinco e vitamina C potrebbe rivelarsi particolarmente efficace nella prevenzione dell’herpes.

Non esistono però ancora studi che dimostrino un qualche effetto dello zinco sul virus di Epstein-Barr, tuttavia gli esiti delle sperimentazioni su altri herpes virus lasciano supporre che anche in questo caso lo zinco possa influenzare positivamente il sistema immunitario. Per questo una sua carenza dovrebbe essere evitata in ogni modo.

Dosaggio e consigli sull’assunzione dello zinco in caso di mononucleosi

Per supportare il sistema immunitario nella fase acuta della mononucleosi si consigliano da 15 a 40 milligrammi di zinco al giorno per tutta la durata dell’infezione.

Il momento ideale per l’assunzione dei preparati a base di zinco è durante i pasti, perché a stomaco vuoto potrebbero causare dolori gastrici e addominali.

Inoltre, l’organismo riesce ad assorbire meglio lo zinco in combinazione con gli alimenti, in particolare con le proteine di origine animale.

Alimenti ricchi di zinco
Nella fase acuta della malattia i medici specializzati in micronutrienti consigliano soprattutto integratori di zinco a sostegno del sistema immunitario. Dopo l’attenuazione dei sintomi, anche una dieta con alimenti ricchi di zinco può essere d’aiuto. Questo minerale è presente, ad esempio, in lenticchie e carne, nonché in molte qualità di frutta e verdura. Immagine: bit245/iStock/Getty Images Plus

Zinco: da considerare in caso di malattie e assunzione di farmaci

Poiché i reni indeboliti non sono in grado di eliminare correttamente lo zinco, le persone affette da malattie renali, come ad esempio l’insufficienza renale cronica, non dovrebbero assumerlo per evitarne un aumento eccessivo dei livelli.

Lo zinco può pregiudicare l’efficacia di determinati farmaci, tra cui ad esempio gli antibiotici del gruppo degli inibitori della DNA girasi (ciprofloxacina come Ciperus®, Ciprofloxacina Pfizer®) e delle tetracicline (doxiciclina come Efracea®), ma anche i medicinali contro l’osteoporosi (bifosfonati) con principi attivi come l’acido alendronico (Fosamax®) o l’acido clodronico (Bonefos®). Chi fa uso dei suddetti farmaci deve assumere i preparati a base di zinco ad almeno due ore di distanza.

La vitamina C potrebbe accorciare la durata della malattia

Meccanismo d’azione della vitamina C in caso di mononucleosi

Immagine del virus della mononucleosi
In uno studio la vitamina C è riuscita a ridurre gli anticorpi, ovvero le proteine speciali del sistema immunitario che aggrediscono gli agenti patogeni. La riduzione del loro numero indica l’indebolimento dell’infezione. Immagine: Christoph Burgstedt iStock/Getty Images Plus

L’organismo necessita della vitamina C per le difese immunitarie, in particolare per garantire la funzione di barriera delle mucose. La vitamina C stimola la produzione dei neurotrasmettitori cellulari che agiscono contro i virus. Ha inoltre un’azione antiossidante, con cui protegge le cellule dall’attacco distruttivo delle aggressive molecole di ossigeno (radicali liberi). Se i radicali liberi prendono il sopravvento, si parla di stress ossidativo, che a sua volta può danneggiare le cellule. Studi osservazionali mostrano che nei pazienti con infezioni virali si ha spesso un apporto insufficiente di vitamina C.

È possibile che la vitamina C inibisca la proliferazione del virus di Epstein-Barr: in uno studio preliminare condotto su soggetti colpiti da infezione virale Epstein-Barr a cui la vitamina C è stata somministrata direttamente per via endovenosa, il suo impiego ha infatti permesso di ridurre il numero di determinate proteine del sistema immunitario (anticorpi) che indicano la presenza di un’infezione virale, oltre ad accorciare la durata della malattia.

I promettenti effetti della vitamina C devono ora essere confermati da ulteriori studi che verifichino altresì se anche la sua assunzione orale sia in grado di contrastare l’infezione in modo mirato: a differenza dell’iniezione in vena, l’assorbimento attraverso l’intestino non consente infatti di raggiungere concentrazioni ematiche elevate. In ogni caso il suo impiego è sempre consigliabile per supportare il sistema immunitario nella lotta contro i virus.

Dosaggio e consigli sull’assunzione della vitamina C in caso di mononucleosi

In caso di infezione acuta provocata dal virus di Epstein-Barr i medici specializzati in micronutrienti consigliano da 1.000 a 3.000 milligrammi di vitamina C al giorno, ad esempio sotto forma di capsule. Per accelerarne il passaggio al sangue, la dose complessiva dovrebbe essere distribuita nell’arco della giornata, poiché l’assorbimento della vitamina C nell’organismo si riduce a dosaggi superiori a 200 milligrammi. Nel lungo termine non si dovrebbero superare i 2.000 milligrammi al giorno.

La vitamina C è ben tollerata soprattutto se assunta insieme ai pasti. Chi soffre di ipersensibilità gastrica dovrebbe preferire i composti basici, come ad esempio l’ascorbato di calcio.

Vitamina C: da considerare in caso di gravidanza, allattamento, malattie e assunzione di farmaci

Durante la gravidanza e l’allattamento una dose massima di vitamina C pari a 1.800 mg al giorno è probabilmente sicura, anche se la somministrazione dovrebbe essere preceduta da un’analisi critica dei benefici e dei rischi.

Le persone con disturbi renali dovrebbero limitare la quantità a un massimo di 500 milligrammi al giorno, perché i reni malati non riescono a gestire dosaggi elevati. Le persone con una predisposizione ai calcoli renali non dovrebbero superare invece i 1.000 milligrammi, poiché parte della vitamina C viene metabolizzata nell’organismo come acido ossalico, che si lega al calcio formando i cosiddetti calcoli di ossalato di calcio.

La vitamina C aumenta l’assorbimento del ferro nel sangue. Per questo chi soffre di emocromatosi dovrebbe assumerla solo sotto controllo medico.

A dosaggi superiori a 1.000 milligrammi al giorno, la vitamina C può ridurre l’efficacia di anticoagulanti contenenti il principio attivo warfarin (Coumadin®) e di farmaci antitumorali a base di bortezomib (Velcade®). Le persone che fanno uso dei suddetti medicinali dovrebbero dunque consultare il proprio medico prima di assumere integratori di vitamina C.

Una carenza di vitamina D indebolisce il sistema immunitario

Meccanismo d’azione della vitamina D in caso di mononucleosi

La vitamina D aiuta a controllare il sistema di difesa dell’organismo, contribuendo alla regolazione di una risposta immunitaria troppo debole o anomala. Alcuni dati sembrano tuttavia indicare che il virus Epstein-Barr pregiudica l’effetto della vitamina D sull’organismo, come evidenziato da alcuni esperimenti di laboratorio, in cui il virus è andato ad occupare i recettori della vitamina D, impedendole di esercitare la sua piena funzione.

Si suppone che il virus di Epstein-Barr nel lungo termine possa far insorgere malattie autoimmuni come la sclerosi multipla, caratterizzate da una disfunzione del sistema immunitario, che attacca le cellule dell’organismo. Tra i loro fattori di rischio rientra anche la carenza di vitamina D. Uno studio osservazionale mostra come i livelli di vitamina D delle persone con mononucleosi e sclerosi multipla siano nettamente inferiori a quelli delle persone sane.

Gli effetti dell’assunzione di vitamina D sulla mononucleosi e sul rischio di malattie conseguenti non sono ancora stati presi in esame. Non è neppure chiaro se la sua efficacia piena possa essere ripristinata con la somministrazione di dosi più elevate. Ad ogni modo, in virtù della sua azione regolatrice sul sistema immunitario, la vitamina D dovrebbe sempre essere presente nell’organismo in quantità sufficiente. Molte persone sono interessate da una carenza di vitamina D ,in particolare in inverno, quando la forza dell’irradiazione solare non è tale da consentirne la produzione nella pelle.

Il sole splende su un campo
L’inverno è la stagione più a rischio per una carenza di vitamina D. In teoria la quantità immagazzinata nell’organismo in estate dovrebbe essere sufficiente ad alimentare l’organismo nei mesi freddi, ma i prodotti solari con un elevato fattore di protezione limitano la costituzione delle riserve. Immagine: momno/iStock/Getty Images Plus

Dosaggio e consigli sull’assunzione della vitamina D in caso di mononucleosi

In caso di mononucleosi gli esperti in micronutrienti consigliano da 1.000 a 2.000 unità internazionali di vitamina D al giorno, ad esempio sotto forma di capsule. La dose corretta di vitamina D dipende sempre dai suoi valori ematici. Per risolvere una carenza grave è spesso necessario impiegare dosi più elevate per un periodo di tempo stabilito dal medico.

La vitamina D è liposolubile e viene assorbita dall’organismo solo con l’aiuto dei grassi presenti nel cibo. Per questo deve essere sempre assunta insieme ai pasti, con alimenti a contenuto lipidico.

Vitamina D: da considerare in caso di malattie e assunzione di farmaci

In caso di nefropatie come l’insufficienza renale cronica la vitamina D dovrebbe essere assunta solo con il consenso del medico, poiché aumenta l’assorbimento intestinale del calcio, che i reni malati non riescono a espellere, con l’eventualità di un sovradosaggio. La massima attenzione è raccomandata anche a chi soffre di calcoli renali contenenti calcio, la cui formazione potrebbe essere favorita dalla maggiore escrezione del minerale da parte dei reni.

Le persone affette da sarcoidosi, una malattia infiammatoria del tessuto connettivo (malattia di Boeck), hanno spesso livelli di calcio oltre la norma e non dovrebbero pertanto assumere preparati a base di vitamina D.

I diuretici del gruppo dei tiazidici (idroclorotiazide come Idroclorotiazide®, Esidrex®) riducono l’escrezione del calcio attraverso i reni. Il minerale rimane così nel sangue, dove può accumularsi in quantità eccessiva in caso di somministrazione di vitamina D in parallelo ai farmaci. L’assunzione della vitamina D dovrebbe essere preceduta dal controllo dei suoi valori ematici da parte del medico.

Vitamina D: da considerare in caso di malattie e assunzione di farmaci

In caso di nefropatie come l’insufficienza renale cronica la vitamina D dovrebbe essere assunta solo con il consenso del medico, poiché aumenta l’assorbimento intestinale del calcio, che i reni malati non riescono a espellere, con l’eventualità di un sovradosaggio. La massima attenzione è raccomandata anche a chi soffre di calcoli renali contenenti calcio, la cui formazione potrebbe essere favorita dalla maggiore escrezione del minerale da parte dei reni.

Le persone affette da sarcoidosi, una malattia infiammatoria del tessuto connettivo (malattia di Boeck), hanno spesso livelli di calcio oltre la norma e non dovrebbero pertanto assumere preparati a base di vitamina D.

I diuretici del gruppo dei tiazidici (idroclorotiazide come Idroclorotiazide®, Esidrex®) riducono l’escrezione del calcio attraverso i reni. Il minerale rimane così nel sangue, dove può accumularsi in quantità eccessiva in caso di somministrazione di vitamina D in parallelo ai farmaci. L’assunzione della vitamina D dovrebbe essere preceduta dal controllo dei suoi valori ematici da parte del medico.

Il beta-glucano del lievito supporta le cellule immunitarie

Il beta-glucano del lievito supporta le cellule immunitarie

Il beta-glucano è una sostanza non digeribile presente ad esempio nel lievito da panificazione, nei funghi o nell’avena. Il beta-glucano del lievito è in grado di stimolare il sistema immunitario, che viene attivato dai relativi recettori localizzati nelle cellule immunitarie. Attraverso questo “effetto allenamento” il sistema immunitario si prepara a fronteggiare gli attacchi e potenzia la risposta di difesa, con il rilascio di neurotrasmettitori e l’attivazione dei fagociti contro gli herpes virus.

Uno studio di alto livello documenta l’effetto antivirale del beta-glucano nelle infreddature, calate di un quarto tra i partecipanti che lo avevano assunto con un preparato rispetto al gruppo trattato con placebo. L’azione del beta-glucano sulla mononucleosi non è però stata ancora dimostrata da alcuno studio. La sua efficacia contro gli herpes virus e il raffreddore lasciano tuttavia ipotizzare un suo ruolo di supporto del sistema immunitario anche contro il virus di Epstein-Barr.

Dosaggio e consigli sull’assunzione del beta-glucano in caso di mononucleosi

Cubetti di lievito su sfondo chiaro
Il beta-glucano viene comunemente ricavato dal Saccharomyces cerevisiae, noto anche come lievito per panificazione o di birra e impiegato nella preparazione sia di prodotti da forno sia della birra. Immagine: beats3/iStock/Getty Images Plus

Il sistema immunitario alle prese con la mononucleosi può essere supportato con dosi da 500 a 1.000 milligrammi di beta-glucano, disponibile ad esempio in capsule, da assumere preferibilmente insieme ai pasti per migliorarne la tollerabilità gastrica.

L’EGCG del tè verde potrebbe ridurre la proliferazione dei virus

Meccanismo d’azione dell’EGCG in caso di mononucleosi

Il tè verde contiene flavonoidi con effetti benefici per la salute come l’epigallocatechina gallato (EGCG). Alcuni dati sembrano indicare la potenziale efficacia dell’EGCG contro vari virus e batteri, dimostrata ad esempio sui virus dell’herpes simplex (causa di herpes labiale e genitale) in un esperimento di laboratorio: l’EGCG si lega ai virus e li disattiva.

Altre sperimentazioni lasciano supporre che l’EGCG sia inoltre in grado di ridurre la proliferazione del virus di Epstein-Barr, nonché di rallentarne la riattivazione. Questo fattore potrebbe svolgere un ruolo importante per quanto riguarda la trasmissione del virus ad altre persone. Dopo l’infezione, il virus di Epstein-Barr rimane nell’organismo per tutta la vita e, se si riattiva, può contagiare altre persone.

Finora non esistono però studi di alto livello che documentino l’effetto positivo dell’EGCG ricavata dal tè verde nel trattamento della mononucleosi. Non è noto se l’EGCG riesca a raggiungere il luogo d’azione. La sua assunzione a scopo di supporto è tuttavia consigliata, quanto meno in virtù delle molte proprietà positive del tè verde, che protegge ad esempio le cellule anche dallo stress ossidativo.

Dosaggio e consigli sull’assunzione dell’EGCG in caso di mononucleosi

A supporto del sistema immunitario nella lotta contro i virus si possono impiegare da 200 a 400 milligrammi al giorno di EGCG. I medici specializzati in micronutrienti consigliano l’estratto di tè verde in capsule, che contiene una quantità di EGCG maggiore rispetto alla polvere.

L’estratto di tè verde andrebbe sempre assunto insieme ai pasti.

EGCG: da considerare in caso di gravidanza, allattamento, malattie e assunzione di farmaci

L’assunzione dell’EGCG durante la gravidanza e l’allattamento è sconsigliata perché non sono disponibili studi sufficienti sull’impiego dell’estratto di tè verde in questi casi.

In presenza di malattie epatiche l’assunzione dell’estratto di tè va discussa preventivamente con il medico, perché in rari casi può verificarsi un aumento dei valori epatici.

L’estratto di tè verde contiene sostanze che possono inibire l’assorbimento di principi attivi contro l’ipertensione, tra cui i betabloccanti come il bisoprololo (Congescor®) o la nifedipina (Adalat®). Per non compromettere l’efficacia degli antipertensivi, l’estratto di tè verde andrebbe assunto ad almeno quattro ore di distanza dai farmaci.

L’EGCG può pregiudicare l’efficacia dei farmaci antitumorali contenenti il principio attivo bortezomib (Velcade®), pertanto il suo impiego deve essere discusso con il medico.

Chi fa uso di preparati a base di acido folico o ferro dovrebbe assumere l’estratto di tè verde rispettando un intervallo di due o tre ore, perché l’EGCG si lega alle suddette sostanze, rendono insufficiente la quantità a disposizione dell’organismo.

La lisina accelera la guarigione dell’herpes

Meccanismo d’azione della lisina in caso di mononucleosi

Per il loro metabolismo i virus necessitano di aminoacidi in determinate concentrazioni. Gli herpes virus come quello di Epstein-Barr hanno ad esempio bisogno di molta arginina per riprodursi nell’organismo. La lisina è un aminoacido antagonista dell’arginina che, se somministrato in grande quantità, riesce a ridurne la concentrazione disponibile nell’organismo. La lisina concorre ad esempio con l’arginina per l’assorbimento nell’intestino, dove si può dire che sottragga al virus i suoi componenti essenziali.

In un piccolo studio di alto livello, i pazienti con herpes labiale ricorrente (infezioni da herpes simplex) che hanno assunto un preparato a base di lisina hanno riportato meno infezioni da herpes, disturbi più lievi e una guarigione più rapida. Un effetto positivo è stato evidenziato anche in vari studi preliminari. Uno studio meno recente, altamente qualitativo e di piccole dimensioni non ha invece fatto registrare alcun beneficio, probabilmente a causa del dosaggio ridotto rispetto alle altre sperimentazioni. Un ruolo importante è svolto anche dall’assorbimento naturale dell’arginina con l’alimentazione.

Attualmente non esistono studi che documentino nello specifico l’azione positiva della lisina sulla mononucleosi, ma è possibile che il suo impiego valga almeno un tentativo.

Dosaggio e consigli sull’assunzione della lisina in caso di mononucleosi

Formula chimica della lisina
La lisina è un aminoacido essenziale, ovvero che deve essere assunto con l’alimentazione perché l’organismo non è in grado di produrlo autonomamente. La lisina, comunemente utilizzata nella costituzione delle proteine, in presenza di un’infezione da herpes può inibire la riproduzione dei virus. Immagine: Zerbor/iStock/Getty Images Plus

In caso di mononucleosi si consigliano 3.000 milligrammi al giorno di lisina, ad esempio in capsule, per la durata della malattia. Gli esperti in micronutrienti raccomandano di iniziare l’assunzione il più presto possibile. Nel lungo termine è opportuno non superare una dose giornaliera di 1.000 milligrammi per non provocare una carenza persistente di arginina.

La lisina va assunta preferibilmente a digiuno tra i pasti, suddivisa in piccole dosi distribuite nell’arco della giornata per ottimizzarne l’assorbimento a livello intestinale.

Lisina: da considerare in caso di malattie

Le persone con danni ai reni o grave insufficienza renale non dovrebbero assumere dosi elevate di lisina, poiché i reni debilitati non sono in grado di eliminarne la quantità in eccesso. Anche i soggetti colpiti da malattie autoimmuni acute dovrebbero astenersi dall’usare la lisina.

I diabetici che assumono lisina dovrebbero controllare spesso i propri valori glicemici in virtù della sua presunta capacità di ridurre il livello di zucchero nel sangue.

L’assunzione della lisina deve essere sospesa da una a due settimane prima di un intervento chirurgico programmato, perché potrebbe influenzare la coagulazione del sangue.

Dosaggi in breve

Dosi giornaliere consigliate in caso di mononucleosi

 

Vitamine

Vitamina C

da 1.000 a 3.000 milligrammi (mg)

Vitamina D

da 1.000 a 2.000 unità internazionali (UI)

  
 

Minerali

Zinco

da 15 a 40 milligrammi

  
 

Altre sostanze

Beta-glucano da lievito

da 500 a 1.000 milligrammi

EGCG da tè verde

da 200 a 400 milligrammi

Lisina

3.000 milligrammi

Esami di laboratorio consigliati in breve

Esami di laboratorio consigliati in breve

 

Valori normali

Vitamina D (siero)

da 40 a 60 nanogrammi per millilitro (ng/ml)

Classificazione

Riepilogo

La mononucleosi è un’infezione provocata dal virus di Epstein-Barr appartenente alla famiglia degli herpes virus. Linfonodi ingrossati, febbre, faringe infiammata e stanchezza sono i sintomi più comuni. Come per altre malattie provocate dagli herpes virus, anche il virus di Epstein-Barr rimane per tutta la vita nell’organismo e può essere interessato da recidive che lo rendono nuovamente infettivo.

La medicina dei micronutrienti utilizza minerali, vitamine e flavonoidi che, in presenza di mononucleosi, supportano il sistema immunitario e impediscono l’ulteriore proliferazione dei virus nell’organismo. Lo zinco rinforza il sistema immunitario e argina gli herpes virus. Anche la vitamina C regola la risposta immunitaria e potrebbe in questo modo ridurre la durata della malattia. La vitamina D, oltre a regolare il sistema immunitario in caso di infezione acuta, ne indebolisce le reazioni eccessive. Per questo potrebbe svolgere un ruolo importante nelle malattie autoimmuni insorte come conseguenza della mononucleosi.

Il beta-glucano del lievito è una fibra che attiva le difese dell’organismo. Questo “effetto allenamento” potrebbe essere utile per combattere i virus. Inoltre il flavonoide EGCG contenuto nel tè verde sembra impedire la riattivazione del virus. La lisina sottrae invece al virus il componente essenziale arginina, necessario alla sua riproduzione.

Classificazione

Indice degli studi e delle fonti

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