Trattare in modo naturale l’ipoglicemia postprandiale con la medicina dei micronutrienti

In che modo vitamine, minerali e flavonoidi alleviano l’ipoglicemia e aiutano ad evitare l’insorgenza del diabete

Il sensibile aumento della glicemia dopo i pasti causa reazioni molto forti nell’organismo e può portare poi all’ipoglicemia postprandiale che, anche nei soggetti che seguono una dieta equilibrata, può provocare attacchi di fame. Spesso questa condizione comporta un aumento di peso e possibili complicanze come il diabete. Determinate vitamine, minerali e flavonoidi mantengono i livelli di zucchero e insulina entro valori normali, evitando così ampie oscillazioni della glicemia. Leggete qui quali sono i micronutrienti consigliati, le dosi corrette e a cosa occorre prestare attenzione durante l’assunzione.

Illustrazione del livello di glucosio nel sangue
Glucosio nei vasi sanguigni. Con ipoglicemia si intende un livello della glicemia inferiore alla norma. Immagine: ttsz/iStock/Getty Images Plus

Cause e sintomi

Che cosa si intende con ipoglicemia postprandiale?

Secondo la definizione ufficiale, con ipoglicemia postprandiale si intende un abbassamento dei livelli di zucchero nel sangue subito dopo un pasto, che in breve tempo causa un forte calo della glicemia. Questa ipoglicemia è causata dalla produzione in eccesso di insulina, l’ormone che trasporta lo zucchero all’interno delle cellule e che riduce quindi il livello di zucchero nel sangue. Se prodotta in eccesso, causa un elevato assorbimento di zucchero a carico delle cellule e il conseguente calo della glicemia (ipoglicemia).

L’eccessiva produzione di insulina è a sua volta dovuta a un deficit metabolico nella fase iniziale (stadio preliminare del diabete). Dopo un pasto l’organismo non è in grado di reagire agli stimoli dell’insulina perché nella fase preliminare del diabete di tipo 2 produce meno recettori insulinici. Le cellule non assorbono lo zucchero e i suoi livelli nel sangue superano rapidamente i livelli normali. Per contrastare questa situazione, l’organismo secerne ancora più insulina, con il conseguente sviluppo di un’ipoglicemia. Se questa condizione persiste, il pancreas non è più in grado di produrre grandi quantità di insulina e il livello glicemico continua a mantenersi su valori superiori alla norma, causando l’insorgenza del diabete.

Spesso l’ipoglicemia postprandiale è dovuta a comportamenti alimentari sbagliati, quali

  • consumo frequente di cibi industriali che vengono digeriti rapidamente, come ad esempio la farina bianca
  • consumo elevato di zucchero contenuto nei dolci o nelle bevande gassate
  • consumo eccessivo di alcol o di quantità elevate di caffeina
  • stress successivo ad un’attività sportiva o a un rigido digiuno

In casi rari l’ipoglicemia è causata da altre patologie o da farmaci. È il caso di:

  • tumori del pancreas che causano la produzione di insulina (insulinomi)
  • determinate malattie epatiche e renali
  • danni intestinali, ad esempio legati a celiachia o a disturbi ai movimenti gastrointestinali come un accelerato svuotamento gastrico (sindrome di dumping) in soggetti che si sono sottoposti a interventi di resezione gastrica
  • farmaci come l’acido acetilsalicilico (con effetto analgesico), il chinino (contro la malaria) e gli antibiotici (sulfamidici e chinoloni)
  • sovradosaggio di insulina o di altri farmaci ipoglicemizzanti come le sulfoniluree

Informazioni

Occorre distinguere tra l’ipoglicemia postprandiale che colpisce le persone sane e l’ipoglicemia dei diabetici, causata in questo caso da un eccesso di insulina.

Sintomi e conseguenze dell’ipoglicemia

Persona in sovrappeso sulla bilancia
Il sovrappeso può essere una conseguenza dell’ipoglicemia postprandiale, che comporta a sua volta attacchi di fame e aumento di peso. Immagine: Rostislav_Sedlacek/iStock/Getty Images Plus

Tra i sintomi tipici di un forte calo della glicemia figurano brividi, lieve irritabilità, sudorazione elevata, pallore, stanchezza, sensazione di freddo, mal di testa, tachicardia e problemi di concentrazione. Chi soffre di ipoglicemia, inoltre, continua a mangiare anche se è sazio (attacchi di fame) e aumenta così di peso. Risulta più difficile anche cercare di dimagrire.

Si presume che un deficit a lungo termine della regolazione glicemica con ipoglicemia sia spesso accompagnato da fenomeni di insulino-resistenza, ovvero da un peggioramento dell’efficacia dell’insulina. Questo aumenta il rischio di contrarre il diabete di tipo 2. Molti studi, anche se non tutti, dimostrano che un miglioramento dei livelli di insulina e glicemia ostacoli l’insorgenza del diabete di tipo 2, in particolare in chi è più soggetto al rischio di ammalarsi.

Classificazione

Obiettivi del trattamento

Qual è il trattamento classico dell’ipoglicemia postprandiale?

In assenza di altre patologie, il modo più semplice per curare l’ipoglicemia postprandiale è seguire un’alimentazione controllata, ovvero una dieta, basata sui seguenti comportamenti alimentari:

  • assumere pochi alimenti contenenti zucchero come dolci e prodotti a base di farina bianca (pasta, pane bianco)
  • consumare molti pasti leggeri nel corso della giornata, a distanza di tre ore l’uno dall’altro
  • scegliere una grande varietà di alimenti, inclusi latticini e cibi ricchi di fibre (pane integrale, verdura e frutta)
  • consumare proteine di origine animale e vegetale come pesce e carne di pollo, legumi o soia
  • bere poco alcol e poco caffè

In caso di forme gravi o complicanze, è necessario adottare ulteriori provvedimenti. L’ipoglicemia nei pazienti diabetici, ad esempio, richiede un intervento immediato che prevede l’assunzione di 15 grammi di carboidrati sotto forma di succo, compresse di glucosio o caramelle. In caso di grave ipoglicemia, il glucosio viene somministrato per via endovenosa. Anche le iniezioni di glucagone possono aiutare perché questo ormone favorisce l’assorbimento dello zucchero nel fegato. In questo modo i livelli glicemici aumentano di nuovo.

Le terapie a lungo termine in caso di ipoglicemia variano in base alle cause. Se ad esempio la glicemia è dovuta all’assunzione di farmaci, si consiglia di ricorrere a medicinali alternativi.

Gli obiettivi della medicina dei micronutrienti

Alimenti ricchi di fibre
I prodotti integrali sono ricchi di fibre che rallentano l’aumento dei livelli di zucchero nel sangue, evitando il rischio di ipoglicemia. Immagine: marilyna/iStock/Getty Images Plus

In caso di ipoglicemia postprandiale, lo scopo della medicina dei micronutrienti è normalizzare i livelli di glicemia e insulina, contrastando così l’insorgenza del diabete di tipo 2.

  • Il cromo allevia i sintomi dell’ipoglicemia.
  • Il magnesio migliora la regolazione della glicemia.
  • La vitamina D normalizza la glicemia a digiuno e postprandiale e migliora la condizione di insulino-resistenza esistente.
  • Lo zinco svolge un ruolo importante nel metabolismo degli zuccheri e dell’insulina.
  • Le vitamine del gruppo B sono indispensabili per mantenere la glicemia entro i valori normali.
  • Il tè verde aiuta a rallentare la glicemia, così l’organismo deve reagire in modo meno deciso.
  • Le fibre contribuiscono a rendere più lento l’incremento glicemico postprandiale.

Consiglio

Il galattosio è uno zucchero che rappresenta una fonte di energia ideale perché, a differenza del glucosio contenuto nello zucchero tradizionale, viene assorbito dalle cellule indipendentemente dai valori insulinici e consente di rallentare la glicemia. Qui troverete maggiori informazioni su come utilizzare il galattosio in alternativa allo zucchero normale.

Classificazione

Trattamento con i micronutrienti

Il cromo ha effetti positivi sulle alterazioni della glicemia

Meccanismo d’azione del cromo

Il cromo regola il metabolismo degli zuccheri, anche se il meccanismo preciso non è stato ancora chiarito. Si presume che il cromo attivi una molecola segnale che si lega al recettore insulinico, consentendo così di trasportare più zucchero dal sangue all’interno delle cellule. In questo modo la glicemia non aumenta in maniera eccessiva ed è sempre tenuta sotto controllo.

Una migliore regolazione della glicemia grazie al cromo potrebbe ridurre la produzione di insulina in eccesso, causa a sua volta dell’ipoglicemia postprandiale. I risultati di uno studio preliminare condotto su un numero ridotto di soggetti indicano che un apporto insufficiente di cromo ha un ruolo importante nello sviluppo dell’ipoglicemia. Uno studio preliminare ha mostrato che il cromo faceva aumentare la glicemia subito dopo un pasto a base di carboidrati e alleviava sintomi quali la sensazione di freddo, le oscillazioni d’umore, i brividi o gli stati confusionali.

Un miglior controllo della glicemia potrebbe anche ridurre il rischio di diabete di tipo 2. In futuro sarà necessario condurre studi clinici su gruppi di soggetti più numerosi in modo da poter confermare queste ipotesi. Ad oggi, comunque, gli studi a disposizione lasciano supporre che le persone in sovrappeso con una glicemia elevata (stadio preliminare del diabete) potrebbero beneficiare del cromo perché riduce la glicemia e migliora l’efficacia dell’insulina. Tuttavia, occorre ricordare che esistono anche studi nei quali il cromo è risultato inefficace. Alcuni motivi di questi risultati contraddittori potrebbero essere i seguenti:

  • È possibile che alcuni soggetti in studio soffrissero di una carenza di cromo mentre altri no, ma ad oggi non esistono metodi affidabili che consentano di analizzare l’apporto di cromo.
  • Anche i diversi comportamenti alimentari dei soggetti possono influenzare l’efficacia del cromo.

Nonostante le contraddizioni tra gli studi, vale la pena ricorrere a integratori a base di cromo per contrastare le alterazioni glicemiche.

 

 

Dosaggio e consigli sull’assunzione del cromo

In caso di ipoglicemiapostprandiale i medici specializzati in micronutrienti consigliano di assumere almeno 125-200 microgrammi di cromo al giorno distribuiti nell’arco della giornata, ad esempio in due dosi da 100 microgrammi, mattina e sera.

Si consiglia inoltre di assumerlo con dell’acqua durante i pasti. La soluzione ideale è il legame cromo picolinato, che viene meglio assorbito rispetto ad altri composti a base di cromo.

Cromo: da considerare in caso di farmaci antidiabetici, gravidanza e allattamento

Simbolo chimico del magnesio
Il magnesio regola l’insulina, l’ormone legato al tasso glicemico, pertanto una sua carenza comporta un aumento del rischio di contrarre il primo stadio del diabete di tipo 2. Immagine: Dmitrii Khvan/iStock/Getty Images Plus

Chi assume il cromo in concomitanza con farmaci antidiabetici dovrebbe tenere sotto controllo la glicemia, in particolare nella fase iniziale. In caso di ipoglicemia è consigliabile consultare il proprio medico per una regolazione della dose.

Probabilmente il cromo è sicuro per le donne incinte e che allattano, ma se gli integratori scelti contengono dosi elevate di cromo, superiori a 50 microgrammi, si dovrebbe sempre consultare un medico, che valuterà in modo critico i vantaggi e i rischi prima di consentirne l’assunzione.

Il magnesio migliora il controllo della glicemia

Meccanismo d’azione del magnesio

Il magnesio è un cofattore enzimatico che partecipa al metabolismo degli zuccheri. Contribuisce anche alla secrezione e alla regolazione dell’insulina all’interno delle cellule. Inoltre, può abbassare livelli troppo elevati di glicemia. Nonostante non sia ancora stato dimostrato l’effetto del magnesio sull’ipoglicemia postprandiale,

esso è di giovamento a chi soffre di diabete di tipo 2 nello stadio preliminare. Secondo alcuni studi osservazionali, un apporto insufficiente di magnesio è accompagnato con maggior frequenza da una insulino-resistenza, una condizione nella quale l’insulina non è più in grado di agire in modo sufficiente e la glicemia aumenta. Inoltre, poiché l’insulino-resistenza rappresenta uno stadio preliminare del diabete di tipo 2, chi ne soffre ha un rischio maggiore di ammalarsi. Diversi studi sulla popolazione mostrano che il 20-30% delle persone non assumono la quantità di magnesio consigliata.

Gli effetti positivi del magnesio sono stati confermati da un’analisi degli studi a disposizione, che ha dimostrato che il magnesio contribuiva a migliorare l’insulino-resistenza in persone esposte a un maggior rischio di diabete e che svolgeva un’azione positiva sul controllo della glicemia rispetto a un placebo. Si può quindi concludere che un corretto apporto di magnesio potrebbe ridurre il rischio di diabete.

Dosaggio e consigli sull’assunzione del magnesio

Sulla base dei risultati degli studi condotti, i medici specializzati in micronutrienti consigliano di assumere ogni giorno da 100 a 250 milligrammi di magnesio, preferibilmente insieme ai pasti, quando risulta più tollerabile.

Particolarmente adatti sono i suoi composti organici, come il citrato di magnesio o il gluconato di magnesio, che vengono assorbiti più rapidamente nell’intestino.

Magnesio: da considerare in caso di assunzione di farmaci e malattie renali

Il magnesio può ridurre l’efficacia di alcuni farmaci, tra cui gli inibitori della DNA girasi, come ad esempio la ciproflaxacina (ad esempio Basemar®, Battizer®) o l’enoxacina (ad esempio Enoxen®). A questi si aggiungono anche le tetracicline come la tetraciclina (ad esempio Ambramicina®) e doxiciclina (ad esempio Bassado®).

Un apporto extra di magnesio può ridurre l’efficacia dei bifosfonati contro l’osteoporosi come l’acido alendronico (ad esempio Fosamax®) o l’acido clodronico (ad esempio Climaclod®).

Chi assume questi farmaci dovrebbero attendere almeno due ore prima di prendere anche il magnesio.

In caso di nefropatie croniche si sconsiglia di assumere il magnesio in aggiunta agli integratori minerali che già lo contengono, perché i reni indeboliti non sono in grado di eliminare correttamente la quantità in eccesso, che si accumulerebbe nel sangue.

Vitamina D: gli effetti positivi sulla glicemia a digiuno e postprandiale

Meccanismo d’azione della vitamina D

Donna su un prato al tramonto
La pelle sintetizza la vitamina D quando è esposta ai raggi del sole, ma molte persone soffrono di carenza di questa vitamina, soprattutto in inverno. Si consiglia quindi di tenerne sempre sotto controllo i livelli ematici. Immagine: evgenyatamanenko/iStock/Thinkstock

Ad oggi non si hanno conoscenze sufficientemente chiare sulle modalità in cui la vitamina D controlla la glicemia. Si presume che riduca gli episodi infiammatori e regoli la produzione e il rilascio di insulina. In caso di carenza di vitamina D, infatti, il pancreas secerne meno insulina.

Esistono evidenze che una carenza di vitamina D aumenti il rischio di diabete di tipo 2 in persone sane e in sovrappeso e in soggetti che soffrono di prediabete (chi soffre di prediabete, uno stadio preliminare della patologia, svilupperà il diabete e avrà già livelli di glicemia elevati.) Alcuni studi prevalentemente clinici condotti su un numero ridotto di soggetti hanno mostrato come la vitamina D avesse un effetto positivo sull’insulino-resistenza dei partecipanti allo studio. L’efficacia dell’insulina dopo i pasti era migliore e i livelli di glicemia a digiuno e postprandiale (HbA1c) erano inferiori.

Ciononostante, l’analisi di numerosi studi ha concluso che, nella loro totalità, i risultati mostravano come la vitamina D non risultasse efficace, o solo in forma minima, forse perché le dosi somministrate erano molto diverse tra loro. Inoltre, in alcuni studi non si era tenuto conto dei valori ematici della vitamina D dei soggetti, rilevanti invece per determinare il dosaggio ottimale. I risultati di questa meta-analisi indicano che una dose giornaliera di vitamina D superiore a 2.000 unità internazionali ha un effetto positivo sul rischio di diabete, soprattutto nelle persone con bassi livelli di vitamina D nel sangue.

Sono tuttavia necessari ulteriori studi per determinare in quale dose e per quanto tempo è necessario assumere la vitamina D affinché influisca sul livello di insulina e sulla glicemia. Se ne consiglia in ogni caso l’assunzione per compensare una carenza, molto frequente alle nostre latitudini soprattutto nei soggetti in sovrappeso.

Dosaggio e consigli sull’assunzione della vitamina D

Per ridurre il rischio di diabete si ritiene siano necessarie da 1.000 a 2.000 unità internazionali di vitamina D al giorno, da assumere dopo aver determinato il livello di vitamina D in laboratorio. Sono invece necessarie dosi più elevate per compensare una carenza e ottenere un effetto positivo. Maggiori informazioni sul corretto dosaggio della vitamina D sono disponibili qui.

La vitamina D andrebbe assunta insieme ai pasti. Si tratta infatti di una vitamina liposolubile che necessita dei grassi per essere assorbita.

Determinazione dei livelli di vitamina D in laboratorio

Si consiglia di sottoporsi almeno due volte l’anno a controlli per determinare i livelli di vitamina D. La vitamina D viene misurata nel siero, la parte liquida del sangue priva di cellule ematiche. Una carenza di vitamina D viene determinata rilevando la forma di trasporto nel sangue: la vitamina D 25(OH) (calcidiolo). I valori ottimali sono compresi tra 40 e 60 nanogrammi per millilitro.

Vitamina D: da considerare in caso di assunzione di farmaci e malattie

Chi fa uso di diuretici tiazidici dovrebbe assumere la vitamina D solo dopo controllato i livelli di calcio. Tra i tiazidici figurano l’idroclorotiazide (Esidrex®), l’indapamide (come Ipamix®) e lo xipamide.

I soggetti nefropatici dovrebbero ricorrere alla vitamina D solo in caso di carenza conclamata e sempre dopo aver consultato un medico, che dovrebbe controllare regolarmente anche i valori del calcio.

Si sconsiglia l’assunzione di vitamina D a chi soffre di sarcoidosi (morbo di Boeck), perché può contribuire a far salire i livelli del calcio oltre i limiti consentiti.

Lo zinco supporta il metabolismo dell’insulina

Meccanismo d’azione dello zinco

Lo zinco è necessario per la produzione di insulina nel pancreas, ma svolge anche numerose altre funzioni all’interno dei processi metabolici di zucchero e insulina. In caso di ipoglicemia postprandiale, ecco come agisce questo importante minerale:

  • Lo zinco blocca un enzima, l’alfa-glicosidasi, corresponsabile della degradazione dei carboidrati a livello intestinale, evitando così che la glicemia aumenti in modo troppo rapido.
  • Lo zinco inibisce la secrezione di insulina nel pancreas e potrebbe quindi ridurre l’ipoglicemia.

Occorre ricordare però che non è ancora stato dimostrato se lo zinco può influire direttamente sull’ipoglicemia postprandiale.

Chi soffre di disfunzioni nella regolazione della glicemia e presenta già un indice glicemico troppo elevato (stadio preliminare del diabete) può trarre grandi benefici dallo zinco perché esso contribuisce al trasporto dell’insulina all’interno delle cellule e favorisce così l’assorbimento dello zucchero presente nel sangue. Gli scienziati presumono che esista una correlazione tra la carenza di zinco e l’insorgenza del diabete di tipo 2. Anche una panoramica degli studi disponibili mostra che lo zinco migliora la resistenza all’insulina nelle persone in sovrappeso.

Spesso, però, l’apporto di zinco è insufficiente. In uno studio sui comportamenti alimentari è stato osservato come il 90 percento circa dei bambini esaminati non soddisfacesse il fabbisogno giornaliero di zinco consigliato. Se i valori dello zucchero nel sangue sono fuori dalla norma, si consiglia di fare attenzione al corretto apporto di questo minerale.

Dosaggio e consigli sull’assunzione dello zinco

In caso di problemi glicemici, i medici specializzati in micronutrienti consigliano di assumere ogni giorno da 7 a 30 milligrammi di zinco, preferibilmente sotto forma di composti organici, come lo zinco citrato e lo zinco gluconato, che vengono ben assorbiti dall’intestino.

Inoltre, andrebbe assunto insieme ai pasti perché in questo modo viene meglio tollerato a livello intestinale e meglio assorbito dall’intestino, dove gli aminoacidi contenuti nelle proteine come l’istidina ne favoriscono il passaggio nel sangue.

Zinco: da considerare in caso di assunzione di farmaci e malattie

Lo zinco riduce l’efficacia di determinati antibiotici del gruppo degli inibitori della DNA girasi (Ciprobay®, Ciloxan®) e delle tetracicline (Efracea®, Ligosan®), così come dei farmaci contro l’osteoporosi, i cosiddetti bifosfonati (Andronat®, Alendros®). Occorre pertanto osservare un intervallo di due ore tra l’assunzione di antibiotici o farmaci per l’osteoporosi e l’assunzione di preparati a base di zinco.

L’assunzione supplementare di zinco con preparati a base di minerali dovrebbe essere evitata in caso di insufficienza renale cronica o di altre nefropatie. I reni indeboliti non sono infatti in grado di eliminare correttamente lo zinco, i cui livelli ematici aumenterebbero.

Le vitamine del gruppo B contribuiscono a normalizzare la glicemia

Meccanismo d’azione delle vitamine del gruppo B

Immagine di un mitocondrio
I mitocondri (le centrali energetiche delle cellule) necessitano delle vitamine del gruppo B per trasformare lo zucchero in energia. Immagine: iLexx/iStock/Getty Images Plus

Le vitamine del gruppo B sono fondamentali per il metabolismo energetico, soprattutto dei carboidrati, e per regolare la glicemia.

La vitamina B1 contribuisce al metabolismo dei carboidrati per la produzione di energia nel ciclo di Krebs, dove l’aumento dell’apporto energetico da parte dei carboidrati ne aumenta anche il fabbisogno. Un piccolo studio clinico ha mostrato che la vitamina B1 frenava il peggioramento dei livelli glicemici già superiori alla norma. I soggetti in studio hanno ricevuto 100 milligrammi di vitamina B1 tre volte al giorno per un periodo di sei settimane. Gli scienziati ipotizzano che dosi elevate di vitamina B1 possano rallentare o prevenire lo sviluppo del diabete.

La vitamina B2 partecipa al metabolismo energetico all’interno dei mitocondri (catena respiratoria mitocondriale). Le sue forme attive, infatti, fanno parte di speciali enzimi che regolano la produzione di energia.

In studi condotti sugli animali la vitamina B6 consentiva di rallentare l’aumento della glicemia dopo pasti ricchi di carboidrati, probabilmente grazie all’inibizione degli enzimi gastrici responsabili della digestione e dell’assorbimento dei carboidrati. Si presume quindi che possa esercitare un’azione positiva anche nella prevenzione del diabete.

Si ipotizza che la vitamina B12 partecipi alla regolazione della glicemia e, in combinazione con acido folico e vitamina B6, riduca l’omocisteina, un prodotto metabolico nocivo che non può essere eliminato in caso di carenza di vitamine del gruppo B. È tuttora argomento di discussione se livelli elevati di omocisteina possano favorire l’insorgenza del diabete.

Dosaggio e consigli sull’assunzione delle vitamine del gruppo B

In caso di ipoglicemia, i medici specializzati in micronutrienti consigliano di assumere un complesso di vitamine del gruppo B contenente le seguenti dosi delle singole vitamine:

  • da 5 a 20 milligrammi di vitamina B1
  • da 5 a 20 milligrammi di vitamina B2
  • fino a 10 milligrammi di vitamina B6
  • da 10 a 50 microgrammi di vitamina B12
  • da 200 a 400 microgrammi di acido folico

Vitamina B6 e B12: da considerare in caso di gravidanza, malattie e assunzione di farmaci

Durante la gravidanza e l’allattamento le donne dovrebbero assumere dosi elevate di vitamina B6 solo in presenza di una comprovata carenza e dopo aver consultato il proprio medico.

I pazienti con disturbi renali non dovrebbero assumere la vitamina B12 sotto forma di cianocobalamina, bensì di metilcobalamina, poiché la prima è probabilmente nociva a dosaggi elevati per i pazienti con problemi ai reni.

A partire da una dose di 5 milligrammi, la vitamina B6 indebolisce l’efficacia dei farmaci in caso di epilessia e Parkinson, quindi andrebbe assunta con cautela in concomitanza con i seguenti farmaci:

  • Antiepilettici come il fenobarbital (Luminale®) e la fenitoina (Aurantin®, Dintoina®)
  • Farmaci contro il Parkinson a base di levodopa come Numient®, Madopar®, Duodopa® e Sinemet®

Il tè verde rallenta l’aumento della glicemia

Meccanismo d’azione del tè verde

Integratori a base di tè verde
Le catechine contenute nell’estratto di tè verde riducono la glicemia postprandiale, anche se non si conosce ancora con precisione il loro meccanismo d’azione. Immagine: BWFolsom/iStock/Getty Images Plus

Le catechine, in particolare l’epigallocatechina gallato (EGCG), presenti nel tè verde agiscono positivamente sul metabolismo dello zucchero. Sebbene i meccanismi responsabili di tale effetto non siano ancora del tutto chiari, i ricercatori ipotizzano che le catechine regolino determinati enzimi del metabolismo degli zuccheri all’interno del fegato e ne favoriscano l’assorbimento da parte delle cellule.

Uno studio preliminare ha mostrato come 4.000 milligrammi di estratto di tè verde rallentino l’aumento della glicemia perché riducono la digestione e l’assorbimento dell’amido a livello intestinale. Una glicemia più lenta comporta una minore secrezione di insulina e riduce il rischio di ipoglicemia.

Il tè verde può risultare efficace anche in presenza di altri disturbi glicemici. Alcuni studi osservazionali hanno dimostrato che riduceva i valori troppo elevati della glicemia in pazienti con diabete nello stadio preliminare (glicemia a digiuno, glicemia postprandiale, valori glicemici nel lungo periodo), così come il rischio di diabete. Tuttavia, nella pratica, i risultati sono molto discordanti, probabilmente perché dipendono dalle diverse tipologie di tè somministrate e dal loro diverso contenuto di catechine. A dosi comprese tra 450 e 615 milligrammi, in forma liquida o in capsule, le catechine erano efficaci in soggetti con livelli di glicemia e insulina elevati.

 

Dosaggio e consigli sull’assunzione del tè verde

In caso di anomalie glicemiche, i medici specializzati in micronutrienti consigliano l’estratto di tè verde, più vantaggioso perché il contenuto di catechine è fisso e indicato in modo preciso. Si consiglia in questo caso di optare per estratti che contengano una dose di catechine compresa tra 400 e 600 milligrammi.

Nonostante sia più tollerabile, si consiglia di assumerlo sempre insieme ai pasti. Chi soffre di stomaco sensibile può anche suddividere la dose in tante piccole porzioni.

Tè verde: da considerare in caso di gravidanza, malattie epatiche e assunzione di farmaci

L’estratto di tè verde è sconsigliato alle donne incinte perché non sono ancora stati condotti studi a sufficienza per escludere ogni possibile controindicazione o rischio.

In presenza di malattie epatiche l’assunzione dell’estratto di tè va discussa preventivamente con il medico, perché in rari casi può verificarsi un aumento dei valori epatici.

Determinate sostanze contenute nel tè verde bloccano l’assorbimento nell’intestino di alcuni principi attivi come il betabloccante bisoprololo (ad esempio Cardicor®, Concor®) o l’antipertensivo nifedipina (come Adalat Crono®). Pertanto, andrebbero assunte rispettando un intervallo di almeno quattro ore.

Il tè verde contrasta l’efficacia dei farmaci antitumorali contenenti il principio attivo bortezomib (Velcade®). I malati di tumore dovrebbero sempre consultare il proprio medico curante prima dell’assunzione.

Le fibre garantiscono il corretto equilibrio della glicemia e dei livelli di insulina

Meccanismo d’azione delle fibre

Le fibre consentono di digerire più lentamente i carboidrati inclusi nella dieta, rallentando l’aumento della glicemia. Si tratta quindi di sostanze nutritive importanti per chi soffre di disturbi glicemici. Il loro meccanismo d’azione è illustrato qui di seguito:

  • Le fibre bloccano gli enzimi che disgregano gli amidi come l’alfa amilasi.
  • Le fibre insolubili aumentano il volume del bolo alimentare e abbreviano la sosta nell’intestino, riducendo l’assorbimento delle sostanze nutritive.
  • Le fibre solubili invece si legano all’acqua e creano un gel morbido e liquido che rallenta lo svuotamento gastrico. In questo modo la nostra sensazione di sazietà dura più a lungo e l’assorbimento dello zucchero a livello intestinale è ritardato.
  • Le fibre sono metabolizzate dai batteri intestinali e influenzano la loro composizione nell’intestino. Una sana flora intestinale potrebbe agire anche sul rischio di diabete.

Una cosa è certa: un’alimentazione ricca di fibre insolubili (ad esempio quelle contenute nei prodotti integrali) è la migliore soluzione per ridurre il rischio di diabete. Anche le fibre solubili presentano dei benefici, che devono però essere ancora testati in studi a lungo termine.

Esempi di fibre: beta-glucani, semi di psillio e amido resistente

Molte persone non riescono a soddisfare il fabbisogno giornaliero di fibre consigliato, pari a 30 grammi, con la sola alimentazione, quindi è consigliabile intervenire con degli integratori di micronutrienti ricchi di fibre.

I beta-glucani presenti nell’avena si legano all’acqua nel tratto digestivo e migliorano il metabolismo degli zuccheri. Studi preliminari hanno mostrato come i beta-glucani normalizzino i livelli di zucchero e insulina postprandiali nelle persone in sovrappeso ma non diabetiche. I risultati di una meta-analisi indicano che le persone sane devono assumere almeno quattro grammi al giorno di beta-glucani per godere degli effetti positivi sul metabolismo di zuccheri e insulina.

I semi di psillio contengono fibre solubili che si legano all’acqua. I risultati di uno studio preliminare evidenziano come le fibre dei semi di psillio influiscano positivamente sui livelli di glicemia postprandiale, purché siano assunti prima del pasto. In uno studio preliminare condotto su soggetti non diabetici (che non erano ancora stati sottoposti a un trattamento insulinico), i livelli di glicemia si riducevano del 14 percento dopo la colazione, del 31 percento dopo pranzo e del 20 percento dopo cena.

L’amido resistente rientra tra le fibre insolubili ed è presente ad esempio nei chicchi di cereali o nei legumi. A differenza dell’amido normale, non viene attaccato dagli enzimi digestivi ed è per questo che rientra nella categoria delle fibre. Uno studio osservazionale ha mostrato come l’amido resistente migliorasse la resistenza all’insulina sia nei soggetti sani che in persone affette da una sindrome metabolica, che è caratterizzata da un eccesso di grasso addominale, ipertensione e livelli di glicemia e lipidi nel sangue superiori alla norma e favorisce lo sviluppo del diabete.

Dosaggio e consigli sull’assunzione delle fibre

Molte persone non riescono a soddisfare il fabbisogno giornaliero di fibre consigliato, pari a 30 grammi, con la sola alimentazione, quindi è consigliabile intervenire con degli integratori ricchi di fibre. Si raccomanda di optare per una di queste sostanze:

  • da 2,5 a 5 grammi di beta-glucani contenuti nell’avena
  • almeno 10 grammi di semi di psillio
  • da 10 a 40 grammi di amido resistente

Le fibre sono spesso disponibili sul mercato sotto forma di polvere, che può essere sciolta in un liquido caldo o freddo, ad esempio in un bicchiere d’acqua, in una minestra o nel brodo.

Inizialmente, se l’intestino non è abituato a questo cambio di dieta, le fibre possono causare flatulenza. Si consiglia di aumentare lentamente la dose iniziando con un terzo della dose giornaliera. Una volta tollerata questa quantità, è possibile raddoppiarla.

Dosaggi in breve

Dosi giornaliere di micronutrienti consigliate in caso di ipoglicemia postprandiale

 

Vitamine

Vitamina D

da 1.000 a 2.000 unità internazionali (UI)

Vitamina B1

da 5 a 20 milligrammi (mg)

Vitamina B2

da 5 a 20 milligrammi

Vitamina B6

fino a 10 milligrammi

Vitamina B12

da 10 a 50 microgrammi (µg)

Acido folico

da 200 a 400 microgrammi

  
 

Minerali

Cromo

da 125 a 200 microgrammi

Magnesio

da 100 a 250 milligrammi

Zinco

da 7 a 30 milligrammi

  
 

Flavonoidi

Catechine

da 450 a 615 milligrammi

Beta-glucani dell’avena

da 2,5 a 5 grammi (g)

Fibre contenute nei semi di psillio

almeno 10 grammi

Amido resistente

da 11 a 40 grammi

 

 

Esami di laboratorio consigliati in breve

Esami di laboratorio consigliati in caso di ipoglicemia

 

Valori normali

Vitamina D

da 40 a 60 nanogrammi per millilitro (ng/ml)

 

 

Classificazione

Riepilogo

Chi soffre di ipoglicemia postprandiale è soggetto a un significativo calo della glicemia subito dopo aver mangiato. Questo fenomeno è dovuto ad un’eccessiva produzione di insulina che porta ad un aumento della quantità di zucchero assorbita dalle cellule dell’organismo. Gli scienziati ipotizzano che un disturbo cronico della regolazione della glicemia e l’ipoglicemia postprandiale che ne deriva siano le cause del sovrappeso. Nel corso degli anni questa condizione potrebbe far aumentare il rischio di diabete di tipo 2.

La medicina dei micronutrienti può contribuire a normalizzare i livelli di glicemia e insulina. Lo zinco, il magnesio e le vitamine del gruppo B sono fondamentali per regolare la glicemia. Il tè verde e le fibre rallentano l’aumento dei livelli di glicemia, facendo sì che l’organismo debba produrre meno insulina. Anche il cromo e la vitamina D possono influenzare positivamente il rischio di diabete di tipo 2. Il cromo è infatti necessario per garantire l’efficacia dell’insulina, mentre la vitamina D ne regola la produzione e secrezione.

Classificazione

Indice degli studi e delle fonti

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